Il ruolo di internet nel vissuto dei giovani LGBT+
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Nell’adolescenza tutti i ragazzi devono fare i conti con la propria identità.
Come ci insegna Erickson, il concetto di identità è il sentimento di essere se stessi, unici e irripetibili.
L’identità fonda il senso di continuità nel tempo e nello spazio, al di là della mutevolezza delle esperienze e dei contesti, e fornisce continuità tra passato, presente e futuro. L’identità inoltre si definisce nella relazione, o meglio nelle relazioni.
Ogni adolescente si chiede: “chi sono? da dove vengo? che strada voglio percorrere?”
Domande che per i ragazzi adottivi comporta l’interrogarsi sulle proprie origini, domande che possono portare ad avere bisogno di saperne di più, di verificare quanto ricordano o è stato loro raccontato.
Con l’adolescenza il figlio adottivo deve integrare parti positive e negative di sé, parti positive e negative della sua storia nella famiglia d’origine e in quella adottiva, e ha bisogno di sentirsi accettato, riconosciuto in tutte queste sue parti.
La ricerca delle origini è una ricerca di pezzi mancanti, per ricomporre la propria identità, il voler trovare tutti i pezzi del puzzle della propria storia di vita. La ricerca di una storia unitaria, un filo e un senso, dove è possibile integrare passato presente e futuro.
Il figlio adottivo non arriva nella famiglia da solo, ma porta con sé la sua storia, i fantasmi dei genitori, fratelli, nonni. E tutti dovrebbero trovare il loro spazio ed essere accolti nella famiglia adottiva, affinché non diventino nel tempo una minaccia nel suo mondo psichico.
La ricerca delle origini, può spaventare i genitori. C’è chi teme il confronto con il genitore naturale, c’è chi teme che il figlio possa recuperare o scoprire storie dolorose e vorrebbe proteggerlo.
Spesso i genitori si chiedono: cosa dire? quando dirlo?
Il problema in realtà è più del narratore che di chi ascolta. Il dilemma non è cosa raccontare ma trovare le parole per narrare aspetti dolorosi. Quello di cui si parla è quello che il bambino ha vissuto sulla sua pelle, è la sua storia, lui arriva con le sue cicatrici.
Il genitore adottivo è prezioso in questa ricerca: può aiutare il figlio a ripercorrere la sua storia, recuperare pezzi che può aver dimenticato, può aiutarlo a dare un senso a quell’eco (di cose, sensazioni, odori, tensioni, emozioni) che avverte dentro di sé ma fatica a riconoscere e a riappropriarsene.
Prezioso nel trovare risposte a tanti interrogativi che nel tempo si ripetono e nel tempo mutano nel significato. A volte è anche il racconto di ciò che potrebbe essere, soprattutto quando sono poche le informazioni, attraverso un dialogo ipotetico.
Non bisogna dimenticare che se il figlio adottivo non trova una sua collocazione nel passato e una continuità con il suo presente, difficilmente riuscirà ad immaginarsi nel futuro.
Non è possibile impedire al figlio di esplorare e provare dolore. E’ la sua storia. I genitori però possono evitare la pericolosità del segreto, del non detto, del non chiesto, anche di quello che si ha paura di pensare.
Solo l’accesso al dolore permette di affrontare i fantasmi. Finché c’è lutto, perdita e dolore, i fantasmi fanno da padroni. Questi vanno integrati nelle relazioni familiari in modo che trovino una loro collocazione, vanno momentaneamente tollerati, sospendendo ogni giudizio e accettando la paura e il dolore, in modo da poterli elaborare.
I figli adottivi spesso rimuovono il passato perchè vogliono sentirsi parte del nuovo nucleo familiare. Questo bisogno, intrecciato con il timore di un nuovo abbandono e quindi dell’ennesimo rifiuto, nel tempo si manifesta nel silenzio ed anche nell’apparente dimenticanza della propria storia pre adottiva.
Bisogna fare attenzione a non leggere il silenzio rispetto al passato come un “voltare pagina” e soffermarsi solo sulla storia comune. L’armonia che si è costruita nella famiglia adottiva non deve portare a tenere sommersi i segni del passato. L’adozione non è una rinascita.
I genitori hanno un ruolo importante nel continuare a mantenere la memoria dei genitori naturali, rendendoli visibili, disponibili tutte le volte che il figlio ne ha necessità.
Sto iniziando a ricordare una vita che avevo dimenticato
Dev Patel nel film Lion – La strada verso casa
Non dimentichiamoci che il significato del passato è sempre a posteriori, quello che viene conservato nella nostra memoria è legato agli effetti di quanto successo.
La storia adottiva può avere un ruolo fondamentale nel modificare il vissuto, rendendo accettabile ciò che è stato doloroso (la perdita, il trauma, l’abbandono), trovando nuove connessioni, arrivando ad una realtà narrabile.
Fondamentale è non lasciare il figlio da solo nella ricerca delle origini.
Internet è un strumento alla portata di tutti, non ha frontiere nè differenze sociali. E’ uno strumento potente sempre più usato nella ricerca delle origini. Non è possibile evitarlo, né prevedere dove conduce.
Su Internet le comunicazioni sono immediate, domanda e risposta avvengono velocemente, con poco spazio per riflettere. Il rischio è quello di non avere il tempo per le proprie emozioni, e spesso queste emozioni sono dirompenti, soprattutto nell’adolescenza. Ci si può imbattere in molte informazioni in pochi secondi, ci si può trovare in una moltitudine di contenuti (fotografie, filmati, status) che vanno oltre quello che uno vorrebbe sapere.
Quando la ricerca viene fatta in solitudine, maggiore è il rischio di uno scompenso del ragazzo. Se i genitori lo accompagnano in questo viaggio possono aiutarlo nella ri-narrazione della storia e delle emozioni ad esse connesse, che è l’aspetto più importante.
La narrazione andrebbe ripresa nel tempo, arricchita di volta in volta, dove tutto può essere rimescolato e riorganizzato.
Sono immagini che vanno costruite insieme, fatte di aspetti reali e immaginari, di ricordi e fantasmi.
L’importante è poter costruire insieme una storia possibile, una storia che può cambiare nel tempo sulla base dei bisogni sia del figlio ma anche dei genitori adottivi.
I genitori sono uno specchio in cui ciascun figlio, adottivo e non, si guarda. Come viene visto dai genitori? Che immagine di lui rimanda? Quando il figlio inizia ad agire parti di sé meno piacevoli e positive è perché inizia a tirare fuori quello che è, o pensa di essere, da adolescente. Ed è proprio in questa fase che ha bisogno di sentirsi accolto e accettato per poter ricostruire se stesso. Questo ancor di più per il figlio adottivo, che ha bisogno di farsi vedere anche nelle sue parti che hanno a che fare con la sua storia precedente all’adozione, con il suo bisogno di sapere di più e a volte con la ricerca di nuove risposte alle sue domande.
Quale sguardo poniamo sui nostri figli? Il nostro sguardo è il loro specchio!
Dottoressa Ottavia Pennisi