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27 Febbraio 2020Parlare di analfabetismo nel 2020 suona un po’ anacronistico. Decenni di scuola dell’obbligo caratterizzati da una diffusione sempre più capillare delle informazioni, anche grazie alle tecnologie emergenti, hanno contribuito in maniera determinante all’alfabetizzazione generale permettendo a moltissime persone di autodeterminarsi attraverso la cultura.
Informarsi, conoscere e imparare non sono mai stati così facili come lo sono nel periodo storico in cui viviamo, eppure, ancora oggi, c’è chi mostra una grande confusione nel collegare le nozioni nella sua mente, ricordare date o fatti importanti, fare affidamento sul proprio bagaglio culturale.
Se parliamo di analfabetismo culturale ci riferiamo proprio alla difficoltà di usare le informazioni che abbiamo appreso a scuola.
Facciamo questo esperimento: pensate a qualcuno che vi fermi per strada e vi chieda di rispondere a queste domande:
1) Chi ha dipinto L’Ultima Cena?
2) Con quali stati confina il Giappone?
3) Cos’è il buco dell’ozono?
4) Dove si trova l’omero?
5) Risolvi il quesito: sei in vacanza a Riccione con 9 amici, decidete di mangiare dei ghiaccioli che costano 1,50€ l’uno, quanto avrete speso in tutto?
Nonostante un iniziale imbarazzo, ciascuno di noi è portato a rispondere con la risposta corretta, se la conosce, oppure con un sincero non lo so in caso contrario. Con alcuni ragazzi però si verifica qualcosa di nuovo: rispondono dicendo la prima cosa che passa loro in testa, magari collegando in maniera errata due concetti che si trovano in compartimenti stagni della loro memoria. Il risultato in certi casi fa sorridere, ma è indicativo di una situazione da affrontare con la giusta attenzione.
Tornando al concetto di analfabetismo culturale, alla luce di quest’ultimo ragionamento, possiamo aggiungere che per un adulto – magari colto alla sprovvista dall’intervista – può essere difficile accedere a nozioni che ha imparato molti anni prima, ma questa tesi non è valida per i ragazzi dell’età scolare che invece quelle nozioni le hanno apprese da poco.
Alla luce di questo, che cosa significa che la famiglia deve promuovere cultura?
Alcuni genitori si sentono inadeguati rispetto a questo ruolo e così si ritrovano spesso in ansia da prestazione e si mettono alla ricerca incessante di indicazioni (che poi non seguiranno), altri invece, convinti di non essere in grado, gettano la spugna e delegano, in toto, ad altre istituzioni educative come la scuola.
Cosa si può fare?
Comprendere che le difficoltà di alcune famiglie ed il loro contesto per poter intervenire in modi efficaci. Perché una famiglia non vive da sola ma si interfaccia da un lato con ciascuno dei suoi membri, che in quanto soggetto non è solo parte di quella famiglia, ma è parte di più sistemi contemporaneamente, e questo lo mette in condizione di decentrarsi rispetto alla famiglia e di essere, quindi, portatore di cambiamento al suo interno. Dall’altro lato, la famiglia si interfaccia con altre famiglie, con i servizi, la scuola, la cultura più ampia.
Da qui torniamo al nostro punto di partenza: come i genitori possono aiutare i propri figli ad “usare la cultura” ed un lessico appropriato?
Ogni famiglia ha le sue pratiche discorsive: Chi parla con chi? E’ qualcosa di quotidiano? Quale stile conversazionale? Quante e quali parole vengono scambiate? Quali sono gli argomenti affrontati insieme? Il problema è, come sempre, di quantità e di qualità. Ci sono famiglia che hanno un vocabolario ricco ed un eloquio grammaticalmente corretto e di conseguenza i bambini/ragazzi che imparano una lingua corretta godono di un indubbio vantaggio scolastico.
I bambini/ragazzi a volte non hanno voce in alcuni luoghi ed il ruolo dei genitori dovrebbe essere quello di spronarli e di prepararli affinché ciò non avvenga permettendogli sia a casa di gestire i contenuti appresi a scuola in maniera corretta che al di fuori.
Così facendo rinforzano, la loro autostima e la loro sete di conoscenza.
Alessandra Bernini
Michele Paolino