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8 Luglio 2020Statisticamente hanno tra i 14 e i 25 anni, non studiano, non lavorano e sono schivi sia con gli amici che con genitori e familiari, comunicano prevalentemente nelle ore notturne e dormono di giorno. In Giappone, paese in cui il fenomeno si è riscontrato con maggiore intensità, li definiscono hikikomori ovvero coloro che stanno in disparte.
Il fenomeno ha toccato anche il nostro Paese tanto che all’indomani di una riapertura post lockdown, durante la quale stiamo tornando gradualmente a riappropriarci degli spazi esterni, torna alla ribalta il discorso dell’isolamento sociale volontario scelto da molti come stile di vita.
Chi viveva già questa dicotomia tra mondo interno e mondo esterno – dice Marco Crepaldi, specialista in psicologia sociale e comunicazione digitale e fondatore di Hikikomori Italia – si sentirà ancor più giudicato a tornare alla normalità.
Da cosa nasce il fenomeno hikikomori?
Per i ragazzi il mondo in cui viviamo è difficile da comprendere ed ancor più complicato trovare il proprio spazio e la propria ragione d’essere in una realtà iper-dinamica in cui sia la sfera personale quanto quella scolastico-lavorativa sono dominati dai miti del successo, dell’immagine e della competizione. Sentirsi costantemente sotto esame, impegnati in attività che devono portare a un risultato imposto da fuori porta alcuni ragazzi a erigere un muro emotivo nei confronti dell’esterno e successivamente a rintanarsi tra le mura amichevoli di casa concedendosi come unico collegamento con il mondo uno smartphone o qualsiasi altro dispositivo possa essere spento all’occorrenza. La riduzione degli input e l’isolamento volontario diventano quindi un vero e proprio meccanismo di difesa, prima, e col passare del tempo uno stile di vita.
Nel film Castaway on the Moon una ragazza hikikomori di Seul vive segregata nella propria stanza uscendo solo nelle ore notturne per usare il bagno. Il suo unico contatto con la realtà è rappresentato dalla chat su internet e da una fotocamera con teleobiettivo con la quale scruta il panorama cittadino.
Come affrontare il problema?
Nonostante il suo stile di vita isolato e potenzialmente problematico, la ragazza del film è l’unica persona ad accorgersi di un piccolo particolare della città che conosce solo attraverso l’obiettivo della sua fotocamera, un dettaglio che agli altri, che vivono una vita frenetica, è sfuggito: c’è un uomo che vive sulla sponda del fiume, un altra persona che vive isolata dal mondo a pochi passi da lei. Lei è l’unica che se ne accorge perché vive la stessa situazione emotiva di quell’uomo anche se non lo conosce personalmente.
Riconoscere che il proprio stile di vita, o quello di un familiare, tende all’isolamento sociale volontario è il primo passo per affrontare il problema; avere consapevolezza che non si è soli ad affrontarlo perché anche altre persone hanno a che fare con esso può essere la spinta gentile necessaria per rivolgersi a una struttura specifica, un gruppo di aiuto (come Hikikomori Italia) o anche contattare uno specialista.
E la ragazza del film?
Il finale di Castaway on the Moon non ve lo voglio rovinare ma, anzi, vi consiglio proprio di guardarlo perché attraverso una narrazione fluida e una storia semplice il film affronta diversi aspetti conflittuali del mondo in cui viviamo, e in cui i ragazzi stanno imparando a vivere, tra i quali l’isolamento sociale volontario è di certo uno di quelli più attuali.
Michele Paolino
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