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19 Novembre 2020Noi pensiamo nel modo con cui ci hanno insegnato a pensare. Nuove idee, nuovi atteggiamenti o approcci incontrano sempre resistenze (Leon Saul, 1951)
La pandemia sta modificando drasticamente la nostra struttura affettiva, cognitiva e professionale, innescando una condizione psicologica ed esistenziale ad elevata complessità. Stiamo affrontando faticosi cambiamenti, modificando radicalmente le nostre routine quotidiane, nella continua ricerca di equilibri personali, relazionali e sociali.
Per gli psicologi italiani si è assistito ad una svolta nell’ambito delle proprie competenze professionali con percorsi trasversali ai ruoli precedentemente ricoperti, ad una ridefinizione di spazi e modalità operative. In particolare si sono diffuse notevolmente le prestazioni psicologiche online.
Con esse non è solo il mezzo che cambia, ma la natura della relazione, che diventa mediata da uno schermo. Questo cambiamento potrebbe comportare dei disagi sia nell’utenza che nel professionista, abituati ad un contesto autenticamente relazionale.
Sicuramente questo perché nella nostra cultura è molto forte, soprattutto negli over 40, la visione dicotomica tra realtà virtuale e realtà reale, quando invece l’una non supera l’altra ma sono solo due diversi tipi di esperienza.
Io per prima, mi sono dovuta confrontare con tale pregiudizio nel mio lavoro; un valido spunto di riflessione me l’ha dato lo studio delle ricerche sul tema. Ho potuto constatare che le prestazioni psicologiche telematiche (dalla valutazione alla psicoterapia) sono nel mondo una pratica diffusissima e lo sono da molto tempo. In America l’utilizzo risale addirittura ai primi anni ’70, già negli anni ‘50 si parlava di “telephone analysis“!
E’ una pratica talmente diffusa che sono stati effettuati copiosi studi sull’efficacia degli interventi psicologici telematici già a partire dagli anni ‘90, mettendo a confronto campioni di clienti con interventi di terapia online e di terapia vis a vis. Non mi dilungo nel riportarli (sono moltissimi e realizzati in diverse parti del mondo, Australia, Svizzera, America, Europa, Canada, ecc.) ma sinteticamente la maggior parte delle ricerche ci dice che non vi è differenza significativa tra le due modalità rispetto all’alleanza terapeutica, alla soddisfazione generale dell’utente, né tanto meno sull’efficacia del trattamento e sulla sua tenuta nel tempo. Alcune ricerche hanno anche rilevato che per l’utenza il livello di coinvolgimento, fiducia, spontaneità e disinibizione è superiore negli interventi online.
Le ricerche ci dicono anche che il nostro cervello riconosce le tecnologie digitali come “naturali” e queste creano con rapidità i loro effetti sulle connessioni cerebrali, producendo un cambiamento nel modo in cui si processano le informazioni e un conseguente cambiamento fisico del cervello stesso.
La E-Psychoterapy (“psicoterapia elettronica”) sta prendendo piede in Italia (vengono aperti sempre più siti Internet di counseling e psicoterapia on-line, progettati studi in centri di ricerca universitari). In Italia, nonostante i primi siti di consulenza online siano già apparsi nel 1995, solo negli ultimi anni si è arrivata ad una definizione condivisa della prestazione psicologica online: Tutte le azioni professionali offerte da un professionista in carne ed ossa a un cliente finalizzate a: informare, sensibilizzare, supportare, modificare, prevenire, curare, abilitare e riabilitare, attraverso l’ausilio delle nuove tecnologie di comunicazione (Manzo et al., 2015).
Inoltre sono mancate regole precise e valide, criteri standard a cui i professionisti devono attenersi. Nel nostro Paese, invero, si è assistito ad una diffusione informale e caotica delle prestazioni psicologiche online, con informazioni eccessive, disorganiche e contraddittorie, fonte di confusione e, a volte, di perplessità. Solo con la pandemia i vari Ordini professionali hanno provveduto a dare delle indicazioni ma senza arrivare a delle vere proprie Linee guida nazionali!
Ciò che caratterizza i dibattiti tra gli esperti (e non) è l’epocale stravolgimento legato alla mancanza di condivisione dello stesso spazio fisico. Le nuove tecnologie consentono che un professionista eserciti la propria attività ed offra il proprio intervento senza che sia presente (fisicamente) il cliente, nello stesso ambiente fisico.
La prima domanda che mi sono posta è il significato sia per me che per il cliente di tale cambiamento. In particolare mi sono dovuta confrontare con il “pregiudizio” sulla imprescindibilità dei corpi nello stesso spazio fisico ai fini di una buona relazione psicologo-cliente; visione legata all’abitudine lavorativa e alla mia formazione . Le ricerche, il confronto con colleghi esperti in terapia online e l’esperienza stessa mi hanno aiutato a superare questa rigida posizione.
Sicuramente l’uso del contesto mediato da uno schermo ha un significato diverso per le persone. Non tutti sono “tecnologici” e non tutti si troviamo a loro agio con lo schermo.
Credo che la scelta debba essere solo personale, ognuno si deve chiedere se è la giusta opzione per se stesso. Se una persona trova difficile fidarsi o instaurare un’alleanza con il proprio terapeuta attraverso i nuovi supporti, è meglio considerare l’opzione classica e mantenere il vecchio setting in presenza. Lo stesso dovrebbe valere per il professionista!
La terapia online offre sicuramente alcuni benefici indiscussi:
l’accessibilità: le barriere architettoniche e le distanze fisiche vengono azzerate e vi è la possibilità di scegliere tra un numero maggiori di esperti, così come sono azzerate le barriere legate allo stigma e ai pregiudizi che inficiano a volte l’accesso ai contesti di aiuto.
E’ conveniente in quanto fa risparmiare tempo ed evita possibili fattori di stress (spostamento, traffico, parcheggio, etc.). La convenienza è anche economica poiché sono azzerate le spese del trasporto/carburante/parcheggio, e a volte anche perché le sedute online hanno un costo minore.
La comunicazione online fa sentire a proprio agio molte persone, che percepiscono una maggiore riservatezza ed intimità. Il dialogo a distanza può rendere le persone più libere di superare le proprie emozioni e di trovare risorse sconosciute.
Da parte sua, il professionista, non avendo a disposizione tutti i messaggi non verbali, in particolare quelli del corpo, deve “imparare” a decodificare maggiormente altre espressioni via video: ad esempio la voce, il cambiamento di tono, i silenzi.
Deve trovare altri strumenti per gestire la vicinanza/distanza non avendo più l’uso dello spazio (fisico). Fondamentale, secondo me, è utilizzare dei programmi che permettano di avere la sensazione del contatto oculare, di guardarsi, in modo da capire anche quando viene abbassato lo sguardo .
Negli interventi online, ritengo che bisogna dare spazio alle motivazioni che hanno fatto preferire la modalità digitale. Quando si passa da una modalità in presenza ad una online, come è stato durante l’emergenza sanitaria, è importante lavorare sui significati individuali e relazionali del cambio di setting. Infine anche su come portare al di fuori della relazione mediata dallo schermo e dalla propria stanza i cambiamenti relazionali ed emotivi sperimentati in un lavoro online (soprattutto con clienti che soffrono di ansia, difficoltà relazionali e sociali).
Penso che sia anche utile ragionare insieme su una novità della relazione telematica: la persona oltre al viso dello specialista nello schermo ha la propria immagine riflessa. Che significati può avere? Le persone non sono abituate a conversare con un “specchio davanti” e questo può aiutare oppure creare disagio alla persona che vede con immediatezza rispecchiate le proprie emozioni e se stessa. Non è più solo il terapeuta ad avere una funzione di specchio per il cliente!
Dr. Ottavia Pennisi